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come coltivare il cavolo frascone

Cavolo Frascone – foto Francesco Felici

Sembra un cavolo nero, ma non lo è. Il cavolo Frascone dell’Alta Versilia (Brassica oleracea var. acephala) si diversifica dal più famoso cavolo nero nella forma, nel sapore e nella storia. 

Le sue foglie sono più larghe. Sono almeno tre o quattro volte più grandi di quelle strette e puntute del cavolo nero. Sono meno gibbose e più chiare, se non addirittura in alcuni casi bianche. Scurissime quelle del cavolo nero, virano dal verde intenso al bianco quelle del frascone. E se le foglie del primo tendono a svettare verso il cielo, quelle del secondo tendono a ricadere verso terra come le luci consumate di un fuoco di artificio.

Il Frascone ha inoltre un portamento ‘sperlungone’, come lo definisce lo scrittore versiliese Silvano Alessandrini in una sua poesia. Un vero e proprio alberello, che può vivere anni nel nostro orto e chissà, forse trovando le condizioni ottimali, può addirittura diventare perenne. Francesco Felici, bio-eroe dell’azienda agricola ‘Fatti col pennato’, coltivatore custode sulle Alpi Apuane, ha una pianta di frascone di sei anni. E’ lui che ci ha fornito gli step principali della sua coltivazione.

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Pera del Curato

Tutti dovrebbero avere un Alberto e Giovanni vicino a dove vivono. Perché così tutti avrebbero la fortuna di assaggiare frutti dal gusto unico e irripetibile, ma purtroppo dimenticato.

I frutti coltivati alle Vigne del Grillo, così si chiama l’azienda di Alberto Billi e Giovanni Casini, sono frutti dalle origini antiche, quasi tutti caduti in disuso e oggi coltivati solo da pochi, da chi come loro li conosce, li cura e ne custodisce le tracce e la memoria, proteggendoli da una possibile scomparsa.

Scovare Alberto e Giovanni non è stato semplice. Ho conosciuto prima il loro ottimo vino, in un ristorante della zona, e poi sono andata ad incontrarli. Le Vigne del Grillo sono un’isola di biodiversità sulle pendici collinari ai piedi del Monte Prana alla Pieve di Camaiore. Una terra che respira sia l’aria del mare versiliese che quella delle Alpi Apuane.

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Se mentre stiamo in vacanza sentiamo la nostalgia del nostro orto, potremo passare il tempo sfogliando le pagine di un libro che ci farà sognare un orto ‘diverso’.

Diverso, non migliore non peggiore, ma diverso. Perché ‘Ortaggi insoliti’ il libro di Matteo Cereda, blogger e agricoltore convinto, e Sara Petrucci, agronoma esperta di agricoltura biologica, parla di ortaggi non comuni. Talvolta perché antichi o dimenticati o altre volte perché ‘esotici’ e normalmente coltivati in luoghi lontani, oppure semplicemente meno conosciuti perché la consuetudine ci spinge a coltivare e consumare un po’ sempre gli stessi ortaggi.

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Foto Paysage à Manger

La patata è stato l’ultimo ortaggio che mia madre ha smesso di coltivare quando l’età gli ha impedito di frequentare l’orto. Quando le sue gambe hanno smesso di obbedirgli, ha chiesto ad alcuni amici confinanti, di vangare per lei alcune prode e di seminarvi delle patate. Non tante, poche, quelle che bastavano a garantire patate tutto l’anno a lei e alle sue figlie. “Perché – diceva – patate buone come quassù non le troviamo da nessuna parte”. E aveva ragione: le patate coltivate sulle pendici delle Alpi Apuane sono ottime.

Tra tutti gli ortaggi è quello che preferisco e oggi vorrei provare a riseminare le patate proprio dove mia madre lo ha fatto per anni. Ma appena ho iniziato a chiedere ad amici coltivatori che tipo di patate coltivassero il coro è stato unanime: ‘patate olandesi’ che si trovano all’agraria! Ma come – ho insistito – non esistono patate locali buone e produttive, magari di varietà diverse dal gusto e dal sapore differente? La risposta è stata no. Come se non bastasse, nel caso poi decidessimo l’anno successivo di riseminare una parte di quelle raccolte senza doverle riacquistare, perderemmo in produttività e qualità.

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Perché fare la fatica di produrre semi in proprio se è così semplice acquistare una bustina già pronta e confezionata?

Semplice, perché fare i semi in proprio significa selezionare piante adatte al proprio territorio e, andando ancora più nello specifico, adatte al proprio orto e giardino. Facciamo un esempio: se nel mio giardino ho poca acqua e il terreno è sabbioso, le piante che vi coltiverò produrranno semi che svilupperanno, anno dopo anno, i requisiti per meglio sopportare la siccità e il terreno povero e ovviamente li trasmetteranno alla pianta. Quindi nel tempo avrò piante in grado di sopportare meglio le avversità e le problematiche proprie del mio appezzamento di terra. In pratica, utilizzando i nostri semi, spingeremo la pianta verso un sensato e sano adattamento.

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azzeruoloInizia a fare freddo e molti lavori nell’orto vanno rimandati, ma è sempre il momento per mettere a dimora un buon albero da frutto, ammesso che non piova a dirotto e che il terreno non sia gelato. Allora perché non approfittarne per piantare un alberello ormai quasi del tutto dimenticato: l’azzeruolo o nel suo nome latino Crataegus azarolus.

Nessuno lo coltiva più perché i suoi frutti dolci e aciduli allo stesso tempo, sono piccoli e si conservano difficilmente e per questo non sono molto commerciabili. E’ frutto da cogliere e da mangiare subito, i nostri nonni ne facevano razzie nei campi, lo gradivano tanto quanto le ciliegie.

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Trulli e FichiChi è si trovasse a passare dalla bellissima Valle dell’Itria in Puglia, per piacere, per lavoro o semplicemente perché vive lì vicino, il mio consiglio è di fare una sosta ai Giardini di Pomona. “Fra i borghi bianchi di calce di Cisternino e Locorotondo, a poca distanza dall’azzurro mare dell’Adriatico, si trova il Conservatorio botanico ‘I giardini di Pomona’ dove la biodiversità gemma nelle mille e più varietà da frutto antiche provenienti da tutto il mondo e molte delle quali salvate dall’estinzione”. Così si presentano i Giardini di Pomona sulla prima pagina del loro sito e così appaiono a chi vi si reca: uno scrigno di biodiversità ‘fruttifera’ in un luogo incantevole.

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Campo granoSono andata nel Cilento alla scoperta dei grani antichi. Oppure come ama definirli Antonio, un amico che ho conosciuto lì, dei grani del futuro. Esattamente a Caselle in Pittari, un piccolo paese arroccato sul cocuzzolo di una collina, come ce ne sono tanti in quella parte della Campania. La differenza è che a Caselle in Pittari da dieci anni a questa parte ogni luglio si tiene il Palio del grano, una festa che celebra il grano, la terra e la voglia di stare insieme. Non è una festa per chi è in cerca di folclore annacquato, finte ricostruzioni o tiepide rimembranze (anche perché quest’anno la calura era tale che di tiepido non c’era niente), ma è una festa dai sapori e dagli intenti forti: il sapore dei grani del luogo che hanno nomi e radici antichissime, Russulidda, Ianculidda, Carosella di Pruno e molti altri, tutti recuperati e coltivati ancora oggi su quelle terre.
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Zucchina patissonVi ricordate delle verdure antiche che si coltivano a Poggio Diavolino? Bene, siamo andati a trovare Fabiano, perché volevamo vedere quali ortaggi particolari ci fossero in estate nel suo orto. Avete presente quando si portano i bambini al luna park? Che si guardano intorno e non sanno più su quale giostra salire? A me è successa un po’ la stessa cosa quando mi sono trovata a Poggio Diavolino l’altra sera: zucche di ogni forma e colore, pomodori rossi, gialli e blù, meloni che sembrano zucche, zucche che sembrano meloni. Insomma un vero spettacolo, da rimanere a bocca aperta!
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verdure_dimenticate_agriturismo_poggio_diavolinoChi è appassionato di orto prima o poi avrà sicuramente sentito parlare di verdure antiche e dimenticate. Ma quali sono le verdure antiche e perché vengono chiamate così? Non sono mica mobili, che possono essere definiti moderni, di antiquariato’ o vintage’! Le verdure sono verdure, e per fortuna sono esenti dai dettami della moda: una carota era, è e resterà sempre una carota! Eppure non sempre è così, ci sono verdure che prima venivano coltivate e adesso non più, oppure molto meno.

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