Chi l’avrebbe detto che Giuseppe Verdi, il compositore di ‘Va pensiero sulle ali dorate va ti posa sui clivi e su colli…” fosse non solo in cuor suo, ma anche di fatto un contadino? L’ho scoperto leggendo un libro, di cui vi consiglio la lettura “La terra non è mai sporca” di Carola Benedetto e Luciana Cilento. Ecco, proprio all’interno di questo libro c’è un capitolo dedicato a Giuseppe Verdi e alla sua passione per la terra.

Che fosse un amante della natura, uno strettamente legato alla sua terra, potevamo immaginarcelo, aveva investito tantissimo in quella che chiamava la ‘pianuraccia’, acquistando la tenuta di Sant’Agata a Villanova sull’Arda.

Una terra bassa e piatta tra Parma e Piacenza, afosa d’estate e gelida d’inverno, una terra da cui Verdi non si staccherà mai. Ma immaginarcelo sveglio ogni mattina alle cinque per andare a controllare che le talpe non fossero tornate, che le piantagioni fossero in ordine e che il mais crescesse a dovere, questo è più difficile da credere.

Eppure aveva un rapporto bulimico con quella terra, non ne era mai sazio e i suoi poderi continuavano a ingrandirsi anno dopo anno, soprattutto per assicurarsi l’autonomia idrica necessaria all’irrigazione di tutti i campi. Così come non era mai satollo di nozioni e conoscenza in materia agricola. Divenne un vero esperto e oltre che di lui stesso, si fidava di pochi altri. “Il suo amore per la campagna è diventato mania, rabbia e furore e tutto ciò che si immagina di più esagerato” scrive la soprano Giuseppina Strepponi, nonché seconda moglie del compositore.

Si prende cura della terra e di coloro che la abitano e la lavorano, facendo lavorare i contadini anche quando non ne ha troppa necessità, per evitare loro la fame, per evitare che migrino altrove. Verdi sa bene, nonostante ami definirsi soltanto “un contadino tagliato alla buona, che non ha mai saputo dare un giudizio che valga due soldi” che a quei tempi, la colpa della miseria che colpisce i contadini è del governo, che poco si cura della terra e della povertà, ma anche dell’ignoranza e dell’arretratezza.

Diverte pensare che quella persona elegante vestita di cilindro e mantello, come siamo soliti immaginarci il Maestro, si preoccupasse così tanto per il letame che doveva fertilizzare i suoi campi. E quando Antonio Ghislanzoni, il librettista dell’Aida, gli fa notare che il letame è troppo vicino alla casa, tanto da impestarne l’aria, Verdi risponde “Intanto deve stare lì perché non c’è luogo più adatto e poi è inodoro! O meglio ha il profumo della campagna, che è sano e fa bene ai polmoni. Lo sapete che quel che voi chiamate porcheria vale cinquemila lire? E’ oro altro che puzza!”

Tutte le sue opere migliori, eccetto le prime, Verdi le compone a Sant’Agata “Non derogando mai dalle mie abitudini solitarie e contadine. Dove son solito vivere, nulla mi può distrarre. Mi ritempro solo uscendo per le mie terre ed occuparmi col massimo piacere di agricoltura”. Due vite separate e apparentemente contrapposte, quella del compositore e del contadino, ma si dedica con estremo piacere ad ambedue, perché l’una sembra tutelare l’altra: “Questa profonda quiete mi è sempre più cara. E’ impossibile…ch’io trovi per me ove vivere con maggiore libertà”. E pur partendo continuamente dalla stazione di Firenzuola per i suoi viaggi ‘verso la gloria’, qui sempre ritornerà.

E’ un ritratto inedito e piacevole di Verdi, quello che emerge dalle pagine di questo libro. Tuttavia non è il solo testo ad avere affrontato l’aspetto più ‘terreno’ e meno artistico del compositore. Se volete approfondirne maggiormente la conoscenza procuratevi il libro “Ti lascio e vado nei campi…” scritto da Ilaria Dioli, Giuseppe Gambazza e Daniela Morsia nel bicentenario della nascita. Un volume che ci propone un Giuseppe Verdi imprenditore agricolo scrupoloso e attento alle innovazioni, legato ai prodotti delle sue terre. Un Verdi produttore-consumatore responsabile, che riuscì a trasferire la cura del dettaglio, la raffinatezza e la genuinità non solo nelle sue opere musicali, ma anche nelle abitudini alimentari.

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