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Oggi voglio parlarvi di un orto particolare. Un orto che mi è capitato di visitare in questi giorni, dove i frutti non sono ortaggi ma parole, pensieri, idee. E’ l’Orto dell’Infinito a Recanati, il paese dove è nato Giacomo Leopardi. E l’Orto è proprio accanto alla casa del Poeta, su “quell’ermo colle” dove andava a ispirarsi, a riflettere sull’Infinito, su quel mare di colline così drammaticamente bello e affascinante dove per lui era “dolce il naufragare”. 

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Insieme alle persone arrivano da lontano anche semi, colture/culture e nuovi modi di produrre e consumare cibo. E’ ispirandosi a questo concetto che l’artista fiorentino Leone Contini ha creato, all’interno dell’Orto Botanico di Palermo, un orto ‘opera d’arte’, inserito all’interno di Manifesta, evento d’arte itinerante che quest’anno si tiene proprio a Palermo.

Già l’idea base, della stessa manifestazione, è incentrata sul ‘giardino planetario’ del paesaggista-filosofo francese Gilles Clément: dove ciascun uomo è giardiniere del mondo e se ne prende cura. Un giardino aperto e senza confini dove gli incolti sono la vera riserva di biodiversità.

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Intimi ortiL’orto si sa è fonte di vita, ma anche di ispirazione. Non a caso ci sono artisti che hanno posto l’orto al centro della propria visione artistica, estetica e potremmo quasi dire filosofica. Gianni Caverni è uno di questi. Artista, giornalista e critico d’arte ha da oltre quindici anni scelto l’orto come tema portante delle sue opere.  “Non sono certamente quello che si dice un ortolano e probabilmente non lo sarò mai, anche se per anni ho vissuto in campagna e ho provato a coltivare un piccolo pezzo di terra – racconta Caverni – Tuttavia sono estremamente affascinato dalla perfezione dei vecchi orti, dalle linee, dai segni che vi si possono leggere. Sono completamente catturato da quella che per me è l’estetica dell’orto, simbolo di una ricerca pacifica all’autosufficienza”.

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orto olmoL’Orto di Olmo non è soltanto un orto. E’ qualcosa di più di un semplice quadrato di terra dove si seminano e si raccolgono ortaggi. E’ un luogo aperto, dove ciascuno di noi può andare e tornare con qualcosa di prezioso. Certo anche un pomodoro, un mazzetto di bieta o un pugno di fave, ma sarà più facile raccogliere un alito di vento, un profumo dimenticato, una pace inaspettata. Più che saziare lo stomaco è un orto che sazia l’anima.

Non chiedetemi perché, ma è così. Tuttavia una piccola idea me la sono fatta. Credo che lì si respiri e si coltivi l’amore e la passione per la terra, per la natura, non solo quella trasmessa da chi come Alessandro  da anni si prende cura di questo appezzamento di terreno, ma anche di chi nel tempo è passato di lì e lì ha lasciato un pensiero, un’emozione, una sensazione legata alla vera essenza della vita.

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Chi segue InOrto da un po’, sa che a noi piace quando l’orto o gli ortaggi si trasformano in soggetti artistici, perché questo significa che i nostri ‘amici vegetali’ e, allargando il ‘campo’, l’intera natura diventano oggetto di stimolo, di creatività e di attenzione. E chi ama la terra sa quanto bisogno ci sia di attenzione in questo momento, nei confronti di ciò che è essenziale e vitale, ma che sembra dimenticato dai più!

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Il fagiolo magico esiste. Lo ha creato l’immaginazione poetica di Yoko Ono che nonostante l’età è ancora fervida e continua  a ruotare intorno alla parola “LOVE”.

E’ proprio questa parola infatti ad essere stata incisa con il laser (con un procedimento brevettato che ci fa morire di curiosità) sul seme di una varietà di fagioli, la Canavaslia Gladiata, in modo che possa riapparire “magicamente” rivelandosi prima sul tegumento che ricopre il cotiledone (la buccia del fagiolo), poi sul cotiledone stesso (il fagiolo)  ed infine su una delle prime foglioline.

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Nella rappresentazione del legame tra arte e orto, gli impressionisti francesi sono sicuramente ai primi posti e fra tutti Pissarro è in testa: nessuno ha mai raffigurato così tanti orti nelle proprie tele!

Non a caso Camille Pissarro viene spesso definito il poeta della campagna. I suoi quadri sono  delle odi ai campi, agli orti, alla terra lavorata, ai personaggi che popolano questi luoghi.

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Se state per partire, ma lasciate a malincuore il vostro orto o giardino, eccovi un libro da mettere in valigia che vi aiuterà a  colmare il vuoto dell’abbandono.

“Giardino e Ortoterapia – Coltivando la terra si coltiva anche la felicità” è un libriccino nella forma, ma non nel contenuto. “Pia Pera, scrittrice e giardiniera appassionata, racconta come riconnettersi alla rete della vita, ristabilire il corpo a corpo con la natura, attraverso semplici gesti d’affetto verso la terra e le sue creature”. E’ un libro che riassume in modo chiaro, sintetico, ma allo stesso tempo poetico e a tratti commovente,  tutte le motivazioni per creare e prendersi cura di un pezzo di terra.

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Andare a visitare la ‘Cooperativa le rose’ , centro riabilitativo per ragazzi con handicap, è un ‘esperienza sensoriale. Appena scesi dall’auto si è accolti da una girandola di colori, materiali e profumi. La sede della cooperativa è una bella casa colonica su una collina appena fuori Firenze, ma nonostante il bel panorama sono i lavori dei ragazzi a catalizzare l’attenzione: draghi in legno multicolore, estrose fontane in ceramica, totem sgargianti che polarizzano lo sguardo, vasi decorati che accolgono profumate aromatiche.

L’ orto si trova all’interno del parco ed è uno dei luoghi chiave dell’attività del centro, insieme ai laboratori di ceramica, di falegnameria e ai corsi di ippoterapia.

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Pascoli il poeta dell’orto o Pascoli il poeta ortolano. Definirlo così non è una forzatura, ma un dato di fatto. Non solo Pascoli ha dedicato un’intera poesia all’orto (‘L’oliveta e l’orto’), ma cita l’orto come rifugio dai dolori della vita (‘Nebbia’), paragona la vite a se stesso (‘La vite’) e usa le piante come tema ricorrente nelle sue rime, tanto da titolare un’intera sua raccolta ‘Myricae’ (nome latino di tamerice). E come se non bastasse paragona il poeta all’umile ortolano.

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